Come stiamo? Notizie dal mondo sulla nostra salute – 2

Nel mondo l’aspettativa di vita alla nascita calcolata nel 2015 era pari a 71,4 anni (69.1 negli uomini, 73,8 nelle donne); un aumento di circa 3 anni ogni decade a partire dal 1950. Incremento di aspettativa che si conferma anche negli anni più recenti con un aumento di circa 5 anni dal 2000. Ciò non è solo derivato da una minore mortalità nei primi periodi della vita; infatti, è migliorata anche l’aspettativa di vita degli ultrasessantenni. Ovviamente questa è la media mondiale ma le differenze fra varie regioni del mondo sono clamorose e così si va da un’aspettativa di vita pari a 50 anni nella Sierra Leone e di quasi di 84 anni in Giappone. Più in generale, l’aspettativa di vita è superiore agli 82 anni in 12 paesi al mondo (tra cui l’Italia) e inferiore ai 60 anni in ben 22 paesi, tutti dell’area subsahariana.

Più recentemente l’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha cominciato ad interessarsi dell’aspettativa di vita passata in buona salute (Healthy Life Expectancy; HLE). Il parametro è difficile da misurare ma in collaborazione con il Global Burden of Disease (GBD, di cui abbiamo in precedenza parlato anche nella prima nota di questa miniserie http://www.fivehundredwords.it/argument/it-come-stiamo-notizie-dal-mondo-sulla-nostra-salute-1), è stato recentemente calcolato che in generale la HLE è inferiore di circa il 12% (con un range dal 9 al 15%) rispetto all’aspettativa di vita totale. Cioè, su una vita di 80 anni circa 9-10 anni non si passano in buona salute a causa prevalentemente di dolori alla colonna vertebrale, ansietà, depressione, disturbi neurologici, calo della vista e dell’udito, malattie cardiovascolari e diabete. La cosa più grave è che a mano a mano che aumenta l’aspettativa di vita, aumenta la percentuale di essa che non passiamo in buona salute. Le donne hanno un vantaggio anche in questo; in Europa, per esempio, hanno HLE che è di ben 5 anni superiore a quella degli uomini.

L’OMS ricorda che un obiettivo irrinunciabile, secondo la dichiarazione d’intenti dei capi di governo per uno sviluppo sostenibile da raggiungere entro l’anno 2030, è rappresentato dall’implementazione di un sistema sanitario universale che permetta tra le altre cose, “…accesso a servizi di cura, farmaci e vaccini per tutti”! Purtroppo, siamo ancora un grave ritardo anche in zone ricche del mondo come l’Europa, dove solo il 30% delle nazioni ha a disposizione sistemi sanitari universali definiti ottimali dalla stessa OMS mentre in molte zone del mondo come l’area mediterranea orientale o il continente africano, addirittura nessun paese ha un sistema sanitario ottimale. Lo ricordino quei paesi che non prestano la giusta attenzione a creare un sistema sanitario inclusivo e facilmente accessibile o a quelli che l’hanno, ma…rischiano di perderlo.

Anche per la mancanza di sistemi sanitari universali ma non solo per questo fioriscono le diseguaglianze nella capacità dei singoli individui di mantenere il proprio stato di salute o di curarsi quando affetti da una malattia. Ne parleremo nella terza e ultima nota di questa miniserie sullo stato di salute dell’umanità.

Autore: Vincenzo Trischitta

 
 

Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.

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