Le "versioni alternative" dei farmaci: sicuri sia tutto chiaro?

L’ultima frontiera della ricerca farmacologica è rappresentata dalla creazione di nuovi farmaci biologici. Ma i cittadini che ne sanno, soprattutto quando sul mercato arrivano le “versioni alternative” di questi farmaci?

Secondo l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) il medicinale biologico è quello che “…contiene una o più sostanze attive prodotte o derivate da una fonte biologica; alcune di queste sostanze attive possono essere già presenti nell’organismo umano ad esempio proteine come l’insulina, l’ormone della crescita e l’eritropoietina”; sono cioè farmaci che utilizziamo ormai da decenni. I farmaci biologici si differenziano da quelli di sintesi chimica per le dimensioni e la complessità molecolari nettamente superiori, per la minore stabilità e per le più complesse tecniche di produzione. In generale, per i farmaci biologici la variabilità rappresenta un elemento importante da considerare: infatti, la stessa molecola, prodotta con procedimenti diversi, può presentare importanti modifiche strutturali che impongono un’attenta valutazione di efficacia clinica e sicurezza.

E che succede quando si decide di “copiare” un farmaco, nel tentativo di crearne uno meno costoso? Mentre per un farmaco di sintesi è sufficiente replicarne la struttura chimica, lo stesso non può dirsi per i biologici. L’EMA informa, infatti, che mentre i medicinali generici (definiti bioequivalenti) hanno strutture chimiche identiche rispetto al farmaco originale, il principio attivo di un biosimilare può avere, per la complessità della sua struttura e dei metodi di produzione, modeste differenze rispetto al medicinale biologico di riferimento (detto originatore). Un medicinale biosimilare può essere quindi approvato solo dopo che si è dimostrato che le eventuali differenze con l’originatore non ne compromettono sicurezza ed efficacia.

La commercializzazione di un biosimilare può avvenire solo alla scadenza della copertura brevettuale del prodotto biologico originatore. La Commissione Europea rilascia le autorizzazioni alla commercializzazione per questi medicinali, ma su rimborsabilità e prezzo del farmaco decidono le Agenzie Regolatorie nazionali.

L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) stabilisce che la scelta di trattamento di un farmaco biologico originatore o di un biosimilare è affidata al medico specialista. Non può succedere quindi, come con i farmaci bioequivalenti, che il farmacista decida autonomamente la sostituzione del farmaco originale. L’AIFA, inoltre, raccomanda che la prescrizione di biosimilari sia preferita, a fronte di un vantaggio economico, nel trattamento di pazienti che non abbiano avuto precedenti esposizioni terapeutiche (né all’originatore né al biosimilare) o per i quali le precedenti esposizioni siano distanti nel tempo. Così si risparmia, rendendo più sostenibile i costi del sistema sanitario nazionale.

E il paziente ha un ruolo nello scegliere tra il farmaco biologico originatore e il biosimilare? Sarebbe utile di si, ai fini di una partecipazione consapevole alle cure, elemento fondamentale per ottimizzarne l’aderenza. L’inadeguata aderenza alla prescrizione è, infatti, uno dei principali motivi di fallimento terapeutico e, a volte, anche di gravi effetti collaterali. La cognizione che il paziente ha sulle scelte a sua disposizione dipende in larga misura da quanto i medici s’impegnano a informare e condividere un percorso culturale che permetta prima la comprensione e poi l’eventuale accettazione di una “versione alternativa” e più economica della terapia tradizionale.

Autore: Paola Tarro

Paola Tarro è laureata in Farmacia e specialista in Farmacia Ospedaliera e Territoriale. Partecipa ad un progetto di farmacovigilanza presso il PO San Giovanni di Dio e Sant’Isidoro di Giarre (CT), occupandosi della segnalazione di sospette reazioni avverse a farmaci.

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