Liberarsi della cultura del dolore in medicina.

“Non chiamatemi professore e nemmeno dottor Dormandy potete scegliere fra Thomas e Tom “the former after Aquinas not the doubter apostole”. E' così che ci ha accolto nel suo laboratorio al Wittington Hospital la prima volta. Sono passati più di trent'anni, Dormandy era già una celebrità, noi dei ragazzi appena laureati. L’ultimo suo libro: “Opium, reality's dark dream” non è una storia di medicina soltanto, è un po’ di storia dell'umanità. Ferdinand Keller ha trovato in un lago alpino fossili con semi di papavero bianco che si possono datare intorno al sesto millennio prima di Cristo. “Se Dio dovesse mai avere bisogno di cure la sua medicina sarebbe l'oppio" amava dire ai suoi studenti William Osler, il padre in un certo senso della medicina moderna.

Paracelso ha scritto dell'oppio dopo averlo provato su sé stesso “E' la medicina ideale, addormenta le malattie senza uccidere l'ammalato”. L’oppio serviva ai chirurghi per poter operare e a metà del ‘600 Christopher Wren e Robert Boyle a Oxford hanno dimostrato che l'oppio al cervello ci arriva attraverso la circolazione “ma allora lo si potrebbe iniettare in una vena e usarlo come anestetico” hanno pensato. Quell'esperimento cambiò la storia della medicina (prima senza anestetici non si poteva operare). Nel reparto di Joseph Lister nel 1877 al King's College di Londra, il reparto di chirurgia più avanzato del mondo, non c'era ammalato che non avesse la sua dose di oppio. Dal papiro di Edwin Smith viene fuori che gli Egizi sapevano già come per malattie comunque incurabili serva la preghiera più che le medicine, salvo una, l'oppio per rendere più facile il passaggio all'aldilà.

E nessun faraone sarebbe mai stato sepolto nell'antico Egitto senza il suo corredo di papaveri d’oppio. A Roma Traiano, Adriano, Antonio Pio e Marco Aurelio consumavano tanto oppio quanto vino, ma anche la gente comune aveva il suo dolce di oppio e zucchero oltre a miele succo di frutta e fiori tutto mescolato in una specie di marzapane. C'erano farmacie famosissime nelle grandi città al Cairo, a Damasco, a Baghdad, dove si discuteva fra l'altro di letteratura e di filosofia (siamo intorno al 900 dopo Cristo). “Gli ammalati vengono da te per due cose di solito, per il dolore o perché hanno paura, scrive Avicenna in un monumentale testo di medicina. L'oppio funziona per tutte e due ma ci vuole grande prudenza”.

Dove va a parare col suo libro Thomas Dormandy? Avrebbe voluto finire con l’immagine di un contadino afgano dalla barba incolta che fuma la pipa e sorveglia i suoi campi di papavero ben conscio che sono loro a proteggere dalla fame lui, le sue mogli e la sua famiglia. Poi ci ha ripensato “it would be fraudulent” e negli ultimi capitoli scrive come nessun’altra droga sia in grado di produrre una distorsione del reale che arriva alla mente e dappertutto e ti coinvolge come fa l’oppio. Nessuna prende così saldamente possesso di te, nessuna ti distrugge così senza curarsi di razza, classe, virtù. Milioni di persone adorano la droga, altrettante la odiano. Non ci sono argomenti che convincono le prime, e nessuna statistica convince le seconde ad un atteggiamento permissivo.

Autore: Giuseppe Remuzzi

Giuseppe Remuzzi è Direttore del Dipartimento di Medicina degli Ospedali Riuniti di Bergamo e coordina le attività di ricerca delle sedi di Bergamo dell’Istituto Mario Negri e del Centro di Ricerche Cliniche per le Malattie Rare. E’ membro del “Gruppo 2003” che annovera gli scienziati italiani più citati dalla letteratura scientifica ed ha ricevuto nel 2007 il “John P. Peters Award”, il più prestigioso premio nel campo della nefrologia internazionale. E’ Commendatore della Repubblica per meriti scientifici ed editorialista del Corriere della Sera.

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