Salute o lavoro?

Salute o lavoro? Protezione dal contagio o benessere fisico e psichico, anche grazie alla possibilità di uscire? Sono queste le domande che tutti ci poniamo in questi giorni. Come se fosse possibile operare una scelta netta. Come se, in tempi normali, operassimo scelte nette. Come se il problema fosse quello di esorcizzare i rischi, non quello di gestirli in modo adeguato.
Non è così. Sempre, e giustamente, operiamo un bilanciamento fra diversi valori ed interessi, cercando di fare in modo che questo bilanciamento sia il più equilibrato possibile.

Un esempio? Ogni anno migliaia di persone muoiono in incidenti stradali ed alcune centinaia in incidenti con la bicicletta, oppure in montagna. Eppure nessuno si sognerebbe di proporre il divieto assoluto di usare l’auto, o la bici, oppure di andare in montagna. Potremmo sicuramente fare ancora molto per ridurre il rischio – soprattutto per il traffico automobilistico – ma tutti riconosciamo che muoversi è una necessità sociale, per garantire la quale dobbiamo accettare qualche rischio.
La discussione astratta sulla ‘prevalenza’ del diritto alla salute o del diritto al lavoro non ha perciò senso. Lo ha riconosciuto anche la Corte costituzionale, stabilendo che nessun diritto può essere “tiranno” verso altri diritti costituzionalmente garantiti (sentenza n. 85/2013). Occorre sempre sforzarsi di ricercare un equilibrio.
Così dobbiamo fare anche verso il coronavirus. Il lockdown va sicuramente mantenuto sino a quando la riapertura potrebbe comportare una pressione eccessiva sul sistema sanitario. Poi va gradualmente superato, ricercando e affinando continuamente il miglior equilibrio possibile fra i diversi interessi in gioco.

Il distanziamento fisico fra le persone dovrà proseguire per un lungo periodo. La sintesi corretta di ciò non dovrebbe però essere “io sto a casa”, ma “io sto distante”. Evitiamo infatti di creare inutilmente nuove categorie di untori: è la vicinanza ad essere potenzialmente contagiosa, non ad esempio la corsetta solitaria.

Le attività economiche dovranno progressivamente riaprire, nel rispetto delle migliori procedure di sicurezza concretamente possibili. E le stesse scuole dovranno il prossimo anno ricostruire un percorso di normalità, se pure con nuove procedure di sicurezza e integrando la didattica in presenza con quella a distanza. Sarà una palestra importante per tutti, studenti, insegnanti e genitori. Una palestra di organizzazione, serenità e coraggio ragionevole. “Grace under pressure”, avrebbe suggerito Hemingway (https://muse.jhu.edu/article/440083/pdf).
Potrà tutto questo avvenire a “rischio zero”? E’ bene essere chiari, la risposta è “no”. La sfida più rilevante per le nostre intelligenze e i nostri cuori sarà nei prossimi mesi proprio quella di gestire in modo equilibrato il rischio, senza illuderci di poterlo cancellare. E senza che la paura di morire si trasformi nella paura di vivere: con la prima siamo abituati a fare i conti, la seconda è una malattia grave.

Autore: Luciano Butti

Luciano Butti, avvocato, insegna diritto internazionale dell'ambiente all'Università di Padova. In passato è stato magistrato per 13 anni e, nel 2007, Visiting Scholar presso l'Università di Cambridge e il Clare Hall College. Si occupa da sempre dei legami fra diritto, scienza e nuove tecnologie, tanto in pubblicazioni accademiche che nella divulgazione.Ritiene che, sempre nel rispetto dei diversi ruoli, occorra 'più scienza' nelle decisioni dei giudici e della politica.

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