Un paio di facili rimedi per ridurre la spesa farmaceutica ma non la qualità di cura.

In Italia, nel 2012, la spesa sanitaria è stata di € 146 miliardi, pari al 9.2% del PIL, una percentuale più bassa di altri Paesi come Francia, Paesi Bassi, Svizzera e Germania, tutti con spese superiori all’11% del PIL, per non parlare degli USA che arrivano al 17%. E nonostante ciò, abbiamo uno dei migliori servizi sanitari al mondo e siamo uno dei Paesi con la popolazione più longeva; ci battono solo Giappone, Islanda, Spagna e Svizzera. Insomma, una volta tanto, c’è da essere orgogliosi ma si può fare di più e meglio, soprattutto in una fase di gravi difficoltà economiche come l’attuale.

Per esempio, nonostante i costi sanitari siano in calo ormai da diversi anni, nel 2012 ogni Italiano ha speso, tramite i contributi versati, € 436 per pagare i farmaci elargiti dal sistema sanitario nazionale (questa cifra rappresenta poco meno di un quarto di ciò che è costato ad ogni Italiano la sanità pubblica nello stesso 2012). E stavolta non abbiamo un atteggiamento virtuoso, spendendo di più della media OCSE. Il recente OECD Health Statistics 2014 (un database della stesa OCSE), adduce tra altri motivi il modesto utilizzo in Italia dei farmaci generici, che pur se in aumento è ancora pari solo al 9% della spesa totale farmaceutica, molto di sotto della media OCSE che è del 24%. Abbiamo già parlato di questo aspetto (http://www.fivehundredwords.it/argument/it-impariamo-a-spendere-meno-in-farmacia) ma è il caso di tornarci: sono farmaci identici al prodotto originale e commercializzati con il nome del principio attivo. Più precisamente andrebbero chiamati medicinali (o farmaci) equivalenti, definizione che meglio fa comprendere la loro assoluta sovrapponibilità col farmaco di riferimento. Insomma, si acquista la stessa identica cosa pagandola, per legge, almeno il 20% in meno (spesso molto meno) del medicinale di riferimento.

Un’altra strategia per risparmiare sulle spese dei farmaci senza rinunciare a cure ottimali passa attraverso l’identificazione di farmaci “costosi”, rispetto alla loro efficacia e profilo di sicurezza. Sono farmaci che poco aggiungono ad altri già in commercio da molti anni (c’è chi li definisce “ridondanti”) ma che, spesso, costano molto di più. Per la loro promozione presso medici e ospedali le industrie farmaceutiche investono molto; al contrario, per la promozione di farmaci veramente innovativi e comunque di grande efficacia e senza pari alternative, spendono molto poco perché…s’impongono da soli sul mercato in virtù della loro qualità. Il New York Times, lo scorso 7 gennaio, approfittando di una legge che in USA obbliga le industrie farmaceutiche a rendere pubbliche le spese di promozione dei farmaci, ha stilato una provvisoria lista dei farmaci più “spinti”. La lista si presta a diverse considerazioni interessanti ed il collega Marco Bobbio ne ha sviscerate alcune su http://www.pensiero.it/attualita/articolo.asp?ID_sezione=37&ID_articolo=1261

Il Ministero della Salute dovrebbe muoversi nella stessa direzione, non solo per aumentare la trasparenza dei rapporti fra industrie, medici e amministrazioni sanitarie ma anche per ottimizzare i costi della spesa farmaceutica, identificando i farmaci inutilmente costosi e disincentivandone l’uso.

 

Autore: Vincenzo Trischitta

 
 

Vincenzo Trischitta insegna Endocrinologia all’Università Sapienza di Roma e dirige un gruppo di ricerca sulla genetica e l’epidemiologia del diabete e delle sue complicanze cardiovascolari presso l’Istituto Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza tra Roma e San Giovanni Rotondo. E’ tra i fondatori, nel 2019, del Patto Trasversale per la Scienza. Attribuisce agli scienziati il dovere della divulgazione e della informazione per una società più consapevole e più libera.

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