Overdiagnosis: la faccia oscura del progresso tecnologico

La copertina di un disco più bella di tutti i tempi? I risultati di un sondaggio lanciato da MusicRadar decretavano, il 16 maggio 2011, il successo di The dark side of the moon dei Pink Floyd. Poco più di un anno dopo, il 29 maggio 2012, il prestigioso British Medical Journal pubblica un articolo dal titolo inquietante: “come prevenire l’eccesso di procedure diagnostiche (overdiagnosis) per smettere di danneggiare la salute”. Ma, al di là della mia passione per la musica e il BMJ, quale filo lega l’overdiagnosis con la faccia oscura della luna? Se l’overdiagnosis si verifica quando in soggetti asintomatici viene diagnosticata una malattia non evolutiva, che non sarà mai sintomatica, né causa di mortalità precoce, la faccia oscura della luna è popolata da tutte le conseguenze negative di essere “etichettati” come malati, dai rischi legati a test diagnostici e trattamenti non necessari, dallo spreco di risorse economiche che potrebbero essere utilizzate in maniera più appropriata.

 Sono numerosi i fattori che contribuiscono a questo fenomeno:
- continua evoluzione delle tecnologie diagnostiche che consentono di identificare “anomalie” sempre più piccole
- interessi commerciali e professionali
- esperti in conflitto di interessi che espandono continuamente le definizioni di malattia e definiscono nuove entità patologiche
- orientamento dell’autorità giudiziaria a condannare l’underdiagnosis, ma non l’overdiagnosis, che ha alimentato la crescita esponenziale della medicina difensiva
- medicalizzazione incentivata dalle modalità di rimborso di servizi e prestazioni sanitarie
- percezione socio-culturale che è sempre bene fare tanti esami diagnostici (more is better) e soprattutto che la diagnosi precoce non comporta alcun rischio

In riferimento alla pratica professionale, quattro condizioni, fortemente alimentate dall’evoluzione del progresso tecnologico, contribuiscono all’overdiagnosis: lo screening in soggetti asintomatici, l’aumentata sensibilità dei test diagnostici in soggetti sintomatici, l’overdiagnosis incidentale e l’ampliamento dei criteri diagnostici delle malattie. Quest’ultima, in particolare, viene spesso effettuata da panel di esperti di organizzazioni e società scientifiche che mantengono relazioni finanziarie con l’industria farmaceutica e tecnologica, la quale trae diretto beneficio dall’espansione del pool di pazienti potenzialmente trattabili. D’altronde, l’industria mantiene ben salda l’influenza sui medici e sulla società, grazie al finanziamento di organizzazioni professionali, associazioni di pazienti, fondazioni di ricerca, campagne di sensibilizzazione sulle malattie, iniziative di formazione continua.

Asma, neoplasie (mammella, polmone, tiroide, prostata), diabete gestazionale, embolia polmonare, insufficienza renale cronica, ipertensione, ipercolesterolemia, osteoporosi e chi più ne ha più ne metta. Sempre di più i casi di overdiagnosis che espandono il pool di malati, aumentano le aspettative sanitarie dei cittadini nei confronti di una medicina mitica, gonfiano le tasche di chi vende farmaci e tecnologie sanitarie e contribuiscono a ridurre la sostenibilità della sanità pubblica.

E’ indubbio che le legittime preoccupazioni sulle conseguenze dell’overdiagnosis non escludono la consapevolezza che molti soggetti non hanno accesso a tecnologie diagnostico-terapeutiche necessarie. Tuttavia, in questo momento particolarmente critico per la sostenibilità della sanità pubblica è indispensabile recuperare qualunque risorsa sprecata per erogare prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate e potenzialmente dannose. In tal senso, l’overdiagnosis, faccia oscura del progresso tecnologico, “nasconde” grandi margini di recupero.

Fonte: Cartabellotta A. Overdiagnosis: la faccia oscura del progresso tecnologico? Evidence 2012;4(2):e1000008

Autore: Nino Cartabellotta

Nino Cartabellotta (www.ninocartabellotta.it) è medico, specialista in medicina interna e gastroenterologia; si interessa di metodologia con competenze trasversali a tutte le professioni ed i livelli organizzativi del sistema sanitario. Fondatore nel 1996 del Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze (www.gimbe.org), dal 2010 è presidente della Fondazione GIMBE. E’, inoltre, Direttore Responsabile di Evidence, rivista metodologica open access e Autore del blog “La sanità che vorrei”. 

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