Pubblicato il 06/02/17

Il sottoutilizzo dei farmaci equivalenti. Un mix di confusione, malafede e ignoranza.

Il brevetto di un farmaco in Italia dura 20 anni. Quando scade, è possibile mettere in commercio farmaci equivalenti che devono contenere la stessa quantità del medesimo principio attivo del medicinale di riferimento, oltre che a doverne replicare la stessa forma farmaceutica e via di somministrazione. Per soddisfare il principio di bio-equivalenza, anche i criteri di qualità, efficacia e sicurezza devono essere identici fra il farmaco di riferimento e quello equivalente. Ma nonostante tutto ciò, a causa di confusione nelle regole, malafede e ignoranza, in Italia si fa un uso modesto di farmaci equivalenti. Ne avevamo già parlato alcuni anni addietro (http://www.fivehundredwords.it/argument/it-impariamo-a-spendere-meno-in-farmacia) ma, visto l’andazzo, conviene tornarci. (vt)
In Italia i farmaci equivalenti sono largamente sotto-utilizzati: nel 2013 hanno rappresentato il 19% dei consumi (media OCSE 48%) e l’11% della spesa (media OCSE 24%) del mercato farmaceutico. Il Rapporto OsMed 2015 riporta un paradosso ancora più clamoroso: in Italia la spesa per i farmaci il cui brevetto è scaduto viene assorbita solo per il 28% dagli equivalenti.

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Autore/i

  • Nino Cartabellotta

    Nino Cartabellotta (www.ninocartabellotta.it) è medico, specialista in medicina interna e gastroenterologia; si interessa di metodologia con competenze trasversali a tutte le professioni ed i livelli organizzativi del sistema sanitario. Fondatore nel 1996 del Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze (www.gimbe.org), dal 2010 è presidente della Fondazione GIMBE. E’, inoltre, Direttore Responsabile di Evidence, rivista metodologica open access e Autore del blog “La sanità che vorrei”. 

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